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Il 18 BL

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Il caporalmaggiore Paolo Libertelli, vestito in abiti borghesi, varcò la soglia della biglietteria della Calabro-Lucana di Matera martedì 11 novembre del 1940 alle ore 17,02 minuti. La sala d’attesa era pressocché deserta e quindi si diresse direttamente allo sportello della biglietteria, anch’esso deserto. Bussando a più riprese sul vetro attrasse l’attenzione di un addetto a cui chiese a che ora partiva il primo treno per Bari.
“Non ci sono treni, l’ultimo è partito mezz’ora fa” informò questi un po’ sgarbatamente.
“Non ci sono treni?” ripetè chiedendo Libertelli.
“Esatto, forse domani mattina”
“E come devo fare? Devo essere a Bari per questa sera” chese sgomento il caporale.
“Non posso farci niente, ci dovete andare domani”
“Ma dovrei essere lì stasera. Mi hanno richiamato!”
“Ah, siete stato richiamato?” chiese ora con più apprensione il bigliettaio.
“Sì, adesso come faccio?”
“Secondo me dovete andare in Prefettura e spiegare lì come stanno le cose”
“Ed è lontana la Prefettura?”
“No, è qui a due passi. Ecco, uscite dalla stazione e attraversate la piazza, di fronte c’è una strada in discesa che porta proprio alla Prefettura. Ci arrivate in cinque minuti”

“Chi cercate?” chiese con manifesta autorità il piantone della Prefettura.
“Non so di preciso, sono stato richiamato e dovrei raggiungere Bari. Non so come fare”
“Avete un foglio? Fatemi vedere” Il piantone dispiegò il foglio che gli venne subito consegnato e lesse con attenzione quanto riportava.
“Ma qui c’è scritto che dovreste essere a Bari già questa sera”
“Lo so, solo che la corriera ha avuto un guasto e siamo stati fermi più di tre ore fin quando non l’hanno riparato. Ecco, io non vorrei passare dei guai, perciò sono qui”
“Ma questa non è la stazione!”
“Dalla stazione mi hanno suggerito di presentarmi qui. Hanno detto che non ci sono treni fino a domani. Mi pare strano..”
“Caporalmaggiore, a che ora sei partito questa mattina?
“Le quattro e mezzo, signore” rispose con soggezzione Libertelli alla domanda diretta espressa in tono molto più che formale.
“Ah!, quindi non sapete nulla di quanto è successo?”
“Perché, cosa è successo?” chiese confuso il caporalmaggiore.
“Questa notte c’è stato un vile attacco dei perfidi inglesi alla base navale di Taranto”
“Un attacco? E come è finito? Hanno fatto danni?”
“Non si sa di preciso, pare che abbiano colpito qualche peschereccio all’attracco. Che vigliacchi!”
“Scusate, ma questo cosa c’entra con il mio treno?”
“C’entra, c’entra, tutte le linee ferroviarie sono in subbuglio e sono state momentaneamente soppresse tutte le linee notturne. A che ora doveva partire il vostro treno?”
“Alle 17,30 signore”
“Tardi, troppo tardi, a quell’ora è già quasi buio. Non se ne parla”
“Ed io, ora, cosa faccio? Dovrei almeno segnalare al distretto di Bari il mio ritardo. Non vorrei pensassero che sono un disertore”
“A questo non dovete preoccuparvi, adesso chiamamo il distretto e segnaliamo la vostra presenza qui. A che unità appartenete?
“Ventunesima divisione, secondo reggimento granatieri di Sardegna”
“Dopo Bari dovete proseguire oltre?”
“Sì, devo raggiungere il comando di reggimento a Parma”
“Ah, capisco. Quindi siete stato richiamato! Eravate in congedo da molto?”
“Diciannove mesi, signore. Per favore ditemi dove posso passare la notte?”
“Avete soldi con voi?”
“No, solo pochi centesimi, non posso spenderli per un posto letto”
“Capisco. Non so cosa suggerirvi. Dovrete arrangiarvi nella sala d’attesa della stazione. Lo so, fa piuttosto freddo la notte, con il maltempo che c’è la temperatura si pè abbassata di brutto. Pazienza, che ci possiamo fare!”

Alle diciotto in punto il caporalmaggiore Libertelli era di nuovo nella sala d’attesa della stazione, aveva trovato un angolo riparato dagli spifferi e vi si era rintanato. Rannicchiato su una panchina con la valigia di cartone pressato usata per cuscino e la pesante palandrana avvolta intorno al collo come una coperta, stentava a chiudere gli occhi benchè la stanchezza per un viaggio breve nella distanza ma logorante si facesse sentire in ogni membro del corpo.
Con lo sguardo fisso verso la porta d’ingresso alla biglietteria, che aveva solertemente chiuso, così come aveva fatto per l’altra che dava sui binari, lasciò che la mente varcasse i confini del tempo. Diciannove mesi, era questo il tempo intercorso dall’altima volta che si era trovato in quella stazione, ma con lo stato d’animo ben diverso.

“Matera, stazione di Matera” annunciò una voce stentorea, come se ci fosse bisogno visto che quella era il capolinea proveniente da Bari. La littorina si fermò poco dopo con ampio stridore di freni e i pochi occupanti si apprestarono a scendere. Erano le sette e trenta di una tiepida giornata di fine aprile e tra i passeggeri vi era un anchilosato giovane dall’animo sereno per essere di ritorno a casa dopo una ferma di circa tre anni e mezzo, interrotta saltuariamente per poche settimane.
Scendendo dal treno rivolse un radioso sorriso alla prima persona che si trovò davanti, un carabiniere scelto in servizio che lo guardò con curiosità mista a sospetto.
“Finalmente ho finito la mia naia” specificò Libertelli per fugare ogni perplessità.
“Ah, quindi sei a casa, soldato”
“Magari, il mio viaggio non è ancora finito. È finito solo quello su rotaia”
“Dove sei diretto?”
“A Montepiano” rispose Libertelli e, osservando una strana smorfia del carabiniere, aggiunse..
“Devo solo prendere una corriera..”
“Ah, allora buona fortuna” rispose questa volta ridendo il carabiniere.
“Dov’è la fermata? È lontana da qui?”
“No, appena fuori la stazione, dall’altra parte della piazza. Da dove vieni?”
“Dal Brennero, ma il mio reggimento è di stazza a Parma”
“Che reggimento è?” chiese curioso iol carabiniere.
“Secondo granatieri di Sardegna – disse fiero Libertelli, poi aggiunse – caporalmaggiore Libertelli” Il carabinieri allora assunse un’aria più riguardosa, in fondo il caporalmaggiore era di un grado superiore al suo, che equivaleva a quello di un semplice caporale.
“Allora avete fatto un lungo viaggio?” chiese con diverso tono.
“Sì, quasi due giorni. La tradotta fermava in tutte le stazioni, anche le più piccole”
“Beh, anche la corriera che dovete prendere farà la stessa cosa”
“Solo che ora respirerò più forte l’aria di casa” rispose felice il caporalmaggiore.

Seguendo il flusso dei pochi viaggiatori scesi dal treno attraversò la piazza della stazione e insieme agli altri si trovò nelle vicinanze di un trabiccolo fermo con il motore acceso.
“Scusa, la corriera per Montepiano quando arriva?” chiese all’autista del mezzo.
“Come quando arriva? Semmai quando parte!” rispose questi un po’ seccato.
“Sì, vabbè è la stessa cosa, ma dov’è?”
“Come sarebbe dov’è, è questa, non la vedi?”
“Cosa? Questo ferro vecchio?”
“Perché ti fa schifo forse?”
“Ma questo che cos’è?”
“E’ un Fiat 18BL, non sai leggere?”
“Ma è un carro militare di vent’anni fa!”
“E allora? Porta diciotto persone e non c’è rischio di bucare, lo sai?”
“Tiene ancora le gomme piene?” più che una domanda la sua era una constatazione, anzi una costernazione. Imaginava cosa sarebbe stato un viaggio su una strada quasi del tutto in terra battuta con un mezzo con gomme piene. La spina dorsale sarebbe stata messa a dura prova. Ora capiva la risatina del carabiniere a proposito della durata del viaggio.
“A che ora parte?” chiese sconsolato all’autista.
“Tra pochi minuti, alle otto in punto. Noi siamo puntuali, almeno per la partenza” finì ridacchiando e alludendo l’autista.
Il caporalmaggiore Libertelli, alzo gli occhi al trabiccolo che sembrava sul punto di accasciarsi in mille pezzi e con la mente ripassò la scheda tecnica che aveva studiato in caserma. Motore a benzina di 25 cavalli, 30 chilometri all’ora, in discesa. Calcolando il tragitto fino a Montepiano, un saliscendi continuo, tortuoso e malridotto, di oltre trecento chilometri definì sarebbe arrivato a casa verso le sedici, ovvero circa otto ore di viaggio. Sospirando con mestizia e rassegnazione salì a prendere posto, maldicendo quando aveva scelto la linea adriatica alla tirrenica. Se non altro arrivato a Potenza avrebbe preso la corriera per Montepiano che percorre la statale 103. E forse su quella linea non ci sarebbe stato il 18BL.
Che stramberia! Montepiano è in provincia di Matera ma la strada per raggiungere il capoluogo è quasi una mulattiera, mentre quella per il capoluogo di regione almeno è asfaltata.

Alle sedici e dieci finalmente la corriera fermò in piazza Garibaldi. Ormai i passeggeri si erano ridotti solo a cinque. Oltre a lui, una coppia di sposi piuttosto anziana, e un paio di mezzadri raccolti per strada non molto lontano dal paese.
La seconda discesa dal mezzo pubblico fu davvero liberatoria, era l’ultima. Nelle vicinanze della fermata sostavano alcune persone e tra questi un paio di giovani della sua età, che conosceva bene. Con questi scambiò calorosi abbracci e amichevoli informazioni sul periodo di naia che aveva condiviso. La chiacchierata si completò nella più vicina osteria e solo all’imbrunire il congedato Paolo Libertelli riuscì a varcare la soglia di casa nel non lontano rione Caporetto. Ad accoglierlo festosamente la mamma e i suoi sette fratelli e sorelle. Il padre Giovanni era e rimase seduto alla tavola, già pronta per la cena.
“Padre!” salutò con soggezione. Questi accennando uno stentato saluto allungò la mano che subito il figlio prese e sfiorò con un bacio.
“Come sei arrivato?” chese con finta naturalezza al figlio.
“Con la corriera”
“Ci sono stati degli intoppi per strada?” chiese ancora.
“Non, nessuno” rispose Paolo, accorgendosi solo allora dove andava a parare la discussione.
“Quindi sei arrivato alle quattro e adesso sono le cinque” constatò con voce dura.
“Si, padre. Mi dispiace, ho incontrato degli amici alla fermata che mi hanno trattenuto”
“Il fiato ti puzza di vino”
“E’ vero, ci siamo fermati alla cantina di zia Concetta, poi si sono aggiunti altri amici..”
“Adesso hai fame?”
“Sì, certo. Non mangio un boccone da ieri sera”
“Siediti e rimettiti in forze. Domani mattina devi venire al cantiere”
“Si padre”.

La cena, un piatto di fagioli e cotiche si consumò in assoluto silenzio e appena ingoiato l’ultimo boccone, prima che il padre si alzasse da tavola, per indicare che il rito della cena era ultimato, rivolgendosi al figlio rientrato da militare disse..
“Devi sposarti, sei grande abbastanza”
“Si padre” rispose Paolo.
Quella sera, con il padre ormai coricato, Paolo, che era il primogenito, fu intrattenuto dai fratelli e dalle sorelle a raccontare la sua vita militare e solo verso la fine si accorse che la sorella Concetta, di soli diciotto anni, aveva la mano sinistra fasciata e che teneva quasi nascosta sotto uno scialletto. Le chiese cosa le fosse successo e alle risposte evasive della sorella che subitò si dileguò in casa, fu costretto a chiederlo agli altri ma nessuno volle parlargli. Allora si rivolse alla madre.
“E’ successo il mese scorso sul cantiere. Lei portava dal fontanile il barile da trenta litri di acqua che serviva per l’impasto della calce, ad un certo punto è scivolata e cadendo, per paura di mollare il barile, l’ha tenuto stretto e così il cerchio di ferro sul bordo gli ha tranciato il dito medio”
“Mio Dio è terribile! Già Concetta non è bella di per sé, ora con la mano deturpata non la vorrà più nessuno”
“Non preoccuparti, questo non sarà un problema, c’è già chi si è fatto avanti. Vedrai che alla fine sarà l’unica della famiglia a fare un buon matrimonio”
“Chi è, lo conosco?”
“Sì, è Antonio, la guardia forestale”
“Ma non è già sposato?” chiese meravigliato Paolo.
“E’ vedovo, la moglie, pace all’anima sua, è morta un anno e mezzo fa, appena dopo la tua partenza. Gli ha lasciato due figli..Lo so, ha venticinque anni più di lei ma ha un posto e un salario fisso. Meglio di così..”

Sposarsi, per Paolo, non fu un problema. Rosina, la sua ragazza gli si era promessa già dalla tenera età e caparbiamente lo aveva aspettato. Il fidanzamento, che doveva quindi durare solo pochi mesi, venne rinviato ben due volte per tragici eventi, la prima volta per la perdita del nonno di lei e la seconda volta per quella di uno zio di Paolo, un fratello della madre. Alla fine fu celebrato a maggio dell’anno successivo.
Sei mesi, appena sei mesi e lo avevano richiamato. Credeva di aver già dato tutto alla patria ma evidentemente si sbagliava. La guerra era scoppiata pochi mesi prima e l’Italia si era imbarcata nell’avventura greca. Dopo un inizio che sembrava favorevole le sorti della guerra si erano capovolte e la situazione in Albania si era fatta critica. Questa era la spiegazione del suo richiamo. Ed ora lì, su una panchina della stazione di Matera, con gli occhi che si rifiutavano di chiudersi Paolo ripensava agli ultimi mesi passati a casa. Su tutto rivedeva la scena di Rosina che gli diceva di essere incinta, appena sei mei prima. E solo ventiquattro ore prima l’aveva lasciata con le guance solcate da fiumi di lacrime. L’aveva rassicurata dicendole che lui in fondo era solo un riservista e lo avevano richiamato per servizi interni.

Il caporalmaggiore Paolo Libertelli un mese dopo venne spedito in Albania e una scheggia di bomba gli tranciò la vita sulle rive del Kalamas. Non avrebbe mai visto nascere sua figlia che Rosina, con l’animo colmo di dispertazione chiamò Addolorata. Di lui restano ben poche cose, tra cui un distintivo a braccio dalla forma di uno scudetto con la scritta 21 divisione granatieri di Sardegna. Poc’altro!




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